Occhi bassi ha pianto durante tutta l'udienza Angelo Solimeo ed è crollato alla lettura della sentenza. Pugno di ferro del giudice dell'udienza preliminare Vincenzo Di Florio, che lo ha condannato in abbreviato a 30 anni di reclusione per l'omicidio di Raffaele Cesarano, compiuto il 10 agosto 2007 a Marina di Vietri dinanzi alla Ciurma. È stata inflitta una pena più pesante dei 20 anni, richiesti dal pubblico ministero Rocco Alfano, con l'applicazione del massimo consentito dal rito abbreviato, che prevede la riduzione di un terzo. Solimeo è stato considerato responsabile di omicidio volontario, lesioni e rissa, gli sono state riconosciute anche le aggravanti dei futili motivi e della particolare crudeltà nell'esecuzione del delitto, richieste dalla pubblica accusa, mentre è stata esclusa quella della premeditazione. Il giovane è stato condannato anche a risarcire i danni ai familiari della vittima, da determinarsi in sede civile, ma intanto l'imputato dovrà corrispondere una provvisionale, immediatamente esecutiva, pari a 150mila euro, oltre al pagamento delle spese processuali. Ieri la sentenza è stata pronunciata dopo le arringhe dei difensori, gli avvocati Silverio Sica e Marco Martello. «È una sentenza connotata da emotività per l'estrema gravità del delitto. Riteniamo che non si sia tenuto conto nè della personalità dell'imputato, del fatto che era incesurato, nè soprattutto del suo leale comportamento processuale, basato sulla collaborazione», ha affermato l'avvocato Sica. E ha concluso: «Aspettiamo le motivazioni per proporre appello». Angelo Solimeo ha confessato di aver colpito la vittima con un paio di forbici, che poi ha anche indicato il luogo dove le aveva gettate, cioè nel fiume Irno, dove poi sono state ritrovate dalla polizia. Ha spiegato ai pubblici ministeri Rocco Alfano ed Ernesto Sassano, che hanno coordinato le indagini, svolte dalla polizia, di essere convinto inizialmente di essere stato l'unico ad aver colpito la vittima, perchè così gli avevano fatto credere gli altri due imputati Raffaele Delle Chiaie e il minore I.D.G., con cui subito dopo il delitto era fuggito in Calabria. Poi però si è reso conto che lo avevano ingannato e ha precisato di aver colpito Raffale Cesarano con le forbici alla spalla e all'anca, mentre Delle Chiaie gli avrebbe inflitto i colpi al petto. È ancora in corso il dibattimento dinanzi alla Corte d'Assise per Raffaele Delle Chiaie, accusato di quell'efferato delitto e difeso dagli avvocati Massimo Torre e Pierluigi Spadafora. Secondo la ricostruzione dell' accusa sarebbe stato proprio lui ad aver inferto i colpi mortali al giovane di Pompei. Nel corso dell'udienza, che si è svolta dinanzi alla Corte d'Assise, presieduta da Francesco Giulio Frega, a latere Giancarla D'Avino, a ottobre scorso, la fidanzata della vittima, Nunzia Sicignano ha confermato senza esitazione che era stato proprio Raffaele Delle Chiaie a infliggere quei colpi mortali al petto del suo Raffaele. Per l'altro imputato del medesimo delitto, Luigi Orilia, difeso dagli avvocati Massimo Torre e Michele Sarno, attualmente libero, essendo stato scarcerato dal Tribunale del riesame, si è in attesa che quegli stessi giudici si pronuncino dopo la sentenza della Corte di Cassazione, che ha annullato con rinvio in relazione a un singolo aspetto cioè alla mancata considerazione delle dichiarazioni di un testimone. A rispondere di quel brutale omicidio c'è poi I.D.G., minore all'epoca del delitto, difeso dall'avvocato Luigi Gargiulo, anche lui libero dopo l'annullamento da parte del Tribunale per i minorenni dell'ordinanza cautelare ed è in attesa della fissazione dell'udienza preliminare.
Antonella Barone – Il Mattino