“Mamma, non cedere mai allo sconforto”

Pagani. La salma del tenente Marco Pittoni è stata tumulata ieri pomeriggio nel cimiteri di Giba, in Sardegna, dopo una toccante cerimonia funebre celebrata nel pomeriggio a Villarios. Più di mille persone hanno voluto dare l’ultimo saluto all’ufficiale dell’Arma. Durante la Messa celebrata nella sua terra, la sorella di Marco Pittoni, Cristina, ha voluto leggere una lettera inviata appena qualche giorno prima dal fratello alla madre Elisa. «Ogni carabiniere impara a vivere con l’incertezza», scrive il giovane ufficiale per rassicurare l’anziana madre, come presagio di quello che sarebbe poi stato il suo destino e incitandola ad essere forte. «Non cedere allo sconforto qualunque cosa succeda»: queste le ultime parole.

Toccanti le parole del vescovo di Iglesias monsignor Paolo Zedda, che ha officiato il rito funebre. «Marco si è sacrificato per il bene comune – ha detto il sacerdote – Un sacrificio, per quanto doloroso possa essere, che ha un senso. Come ha senso, è giusto, il sacrificio di Gesù sulla croce». Tante lacrime in chiesa, davanti a quella bara avvolta nella bandiera tricolore. E un silenzio rotto solo dal suono solenne delle trombe al momento del picchetto d’onore. Una vita spezzata in 37 secondi. Dura tanto, appena 37 secondi, il filmato delle telecamere a circuito interno dell’ufficio postale di Pagani che hanno ripreso la colluttazione tra il tenente Marco Pittoni e Gennaro Carotenuto. Colluttazione che è poi costata la vita al giovane ufficiale dell’Arma. Trentasette secondi che hanno agghiacciato tutti i carabinieri che, per motivi investigativi, hanno dovuto visionare il filmato.

Le immagini sono chiare e questa, almeno al momento, è la ricostrzione dei fatti: il tenente si scaglia contro Carotenuto che ha la pistola in pugno immobilizzandolo, Fabio Prete corre in soccorso del suo complice liberandogli il braccio assassino. Carotenuto esplode poi due colpi: uno in aria, l’altro al collo di Pittoni. E scappa con i suoi due complici. Resta ancora da definire il ruolo di Giovanni Fontana e di Antonio Palma quindi del quinto uomo che è spuntato a sorpresa nel corso delle indagini. Unica certezza: Giovanni Fontana è stato colpito dal fuoco esploso dal maresciallo Silvio Fierro. Sarebbe il suo, dunque, il sangue ritrovato a bordo dell’auto abbandonata. Particolari, quelli rubati dalla telecamera delle Poste, che coinciderebbero anche con il dettagliato memoriale consegnato dall’avvocato del più giovane dei quattro malviventi, Fabio Prete, al sostituto procuratore di Torre Annunziata, Raffaele Marino.

Una confessione poi ritrattata e di nuovo confermata dal ragazzo che, dopo ore ed ore di interrogatorio, ha ceduto. Anche perchè a suo carico ci sono prove schiaccianti. Come l’impronta di una scarpa rilevata sul bancone dell’ufficio postale dai Ris, sarebbe quella di Giovanni Fontana, che coincide con le scarpe rinvenute nella sua abitazione. Come gli indumenti trovati a casa dei primi tre fermati e che sono gli stessi indossati al momento della rapina. Quindi altri particolari che sono stati di grande utilità alle indagini. Gli altri due fermati di sabato, Palma e Fontana, invece, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. pe.car.