«Sono pentito, riconosco il killer e dirò tutto»

Pagani. «Intendo rispondere alle vostre domande, volevo costituirmi, sono pentito di quello che ho fatto. Da quando è successa la rapina non mangio e non dormo per il rimorso anche se mi sono limitato a portare l’auto… stato incauto a organizzare il colpo insieme con un gruppo di «muccusielli» (mocciosi, ndr)». Sono le 23.41 di domenica quando Gennaro Carotenuto, interrogato in caserma a Torre del Greco, scoppia in lacrime davanti ai magistrati e ai carabinieri che lo hanno arrestato. I carabinieri gli mostrano quattro fotografie: tre le riconosce, una no. È quella di Antonio Palma: «Non riconosco questa persona non è venuto con noi a Pagani. Lo escludo categoricamente». Poi racconta con lucidità quanto accaduto quel venerdì mattina, mette tutto nero su bianco e conferma a sua versione dei fatti nel corso di una registrazione.

Ecco una parte del verbale di spontanee dichiarazioni rese nell’immediatezza dell’arresto. «Giovanni (Fontana, ndr) – dice agli investigatori – è venuto a casa mia alle 9 di venerdì con la sua moto e mi ha proposto di andare a fare la rapina all’ufficio postale di Pagani che aveva già ideato e già proposto ad altre persone. Così siamo andati a prendere la macchina a due porte che Giovanni aveva rapinato la sera prima assieme al figlio del Trippone (all’anagrafe Luigi Maresca, appartenente al gruppo di fuoco del clan Gionta di Torre Annunziata) e ad un altro ragazzo magro e scuro di carnagione. In passato Giovanni mi aveva già proposto altri lavori ma, siccome io vedevo che lui aveva la disponibilità soltanto di ciclomotori, non aveva acconsentito perché mi sento sicuro soltanto in una macchina che avrei dovuto guidare io». Poi aggiunge: «Sono soprannominato Schumacher perché guido bene la macchina…». E prosegue nel racconto: «Io sono tornato a casa mia con la macchina e Giovanni con la sua moto è andato a chiamare gli altri e mi hanno raggiunto a casa dopo 10 minuti. Di questi conoscevo di vista soltanto il figlio del Trippone, di cui non conosco il nome, mentre l’altro ragazzo magro e di carnagione scura (Fabio Prete, ndr) non lo conosco e non parlava mai.

Siamo così partiti: io alla guida, Giovanni avanti lato passeggero, dietro di me sedeva il ragazzo magro e a fianco a quest’ultimo il figlio del Trippone. Abbiamo preso l’autostrada e siamo giunti all’ufficio postale di Pagani. Abbiamo fatto un giro dell’isolato per una ricognizione e dopo ci siamo fermati davanti all’ufficio postale, a circa due metri dall’ingresso. Per primo è sceso Giovanni che aveva una fascia copricollo che gli copriva metà faccia e si è diretto verso l’entrata, poi è sceso il figlio del Trippone, armato di una pistola a tamburo che io non avevo visto durante il tragitto anche se avevo sentito che durante il viaggio non aveva voluto darla a Giovanni nonostante le sue ripetute richieste. Il figlio del Trippone quando è sceso aveva un cappellino con visiera e un pezzo di straccio davanti la faccia legato dietro al collo. Dopo di lui è sceso il ragazzo magro anche lui con cappellino con visiera e un pezzo di straccio legato dietro al collo. Io sono rimasto in auto con il motore accese indossavo una parrucca bionda. Il materiale per il travisamento lo aveva portato Giovanni.

Dopo pochi secondi dal loro ingresso ho sentito due colpi di pistola a ripetizione e dopo pochi secondi è entrato in macchina prima il ragazzo curo di carnagione, poi Giovanni che si è seduto sul sedile anteriore destro e poi il figlio del Trippone che si è lanciato in braccio a Giovanni ed è arrivato con il corpo vicino a me tanto da spostarmi verso lo sportello. Ho sentito un colpo di pistola sparato da un carabiniere, lo avevo notato prima, si era accorto di noi aveva iniziato a telefonare con il cellulare. Io ho cercato di avvisarli facendo gesti con le mani ma loro non mi hanno visto. Dopo i colpi di pistola esplosi dal carabiniere ho sentito il ragazzo magro lamentarsi e poi anche il figlio del Trippone. Questo era stato ferito al braccio sinistro e aveva una forte perdita di sangue e il ragazzo scuro era stato ferito anche lui di striscio ma la braccio destro».

Poi la rivelazione: «Siamo partiti di corsa e dopo aver percorso il centro di Pagani riprendendo la Nazionale e aver superato il cavalcavia della Ford abbiamo preso la A30. Durante il tragitto ho sentito il figlio del trippone che diceva di aver sparato in gola un colpo di pistola alla persona che gli era saltata addosso e l’aveva bloccato». Una dichiarazione messa a verbale dagli investigatori sulla quale, però, sono ieri tornati i legali di Carotenuto, gli avvocati Gianfranco Filippo e Valentina Restaino i quali precisano: «Carotenuto non ha accusato nessuno, su questo vogliamo essere chiari. È soltanto molto agitato. L'unica cosa che ha detto agli inquirenti è che Antonio Palma non era con loro». In effetti i carabinieri avevano già una foto segnaletica del figlio del Trippone e gliela hanno soltanto mostrata.

Carotenuto racconta poi agli investigatori cosa è accaduto dopo: «Siamo usciti a Palma Campania e siamo arrivati a Boscotrecase siamo arrivati davanti allo scasso Pezzella e alla rimessa dei pullman privati. Io sono sceso lì. Non so di quanto era l’ammontare del bottino, i soldi sono rimasti a Giovanni e non sono stati spartiti. La pistola era caduta all’interno dell’auto e poi recuperata dal figlio del Trippone. Sceso io si è messo Giovanni alla guida per andare in ospedale a portare i feriti. Io sono tornato a Torre Annunziata con una ragazza che conosco che è passata da quelle parti. Sono andato a casa dove c’era soltanto mio padre al quale non ho riferito nulla, ho preso le chiavi del mio scooter e sono uscito per cercare Giovanni. L’ho trovato in via Mazzini, mi sono fatto dare la chiavi dell’auto della rapina e l’ho portata verso via Postiglione dove l’ho posata in parcheggio, chiusa a chiave e mi sono diretto a piedi verso il passaggio a livello.

Le chiavi dell’auto le ho buttate in un terreno. Prima di arrivare in via Postiglione, all’incrocio di via Terragneta, ho incontrato una motocicletta con due persone a bordo e ho pensato potessero essere appartenenti alle forze dell’ordine…Pochi minuti dopo ho saputo che avevano ritrovato l’auto». Quindi precisa che non è stato lui a sparare. «Volete sapere perché la pistola è stata affidata la più giovane? – dice agli inquirenti – io guidavo soltanto la macchina non so dire nulla a riguardo: la pistola l’ho vista soltanto all’ultimo momento». (di Petronilla Carillo)